La prima emissione di cartamoneta nel territorio italiano risale al gennaio del 1746. Le Regie Finanze di Torino emisero una banconota da lire tre milla, per fronteggiare le spese militari che il Piemonte, alleato con l'Austria, doveva sostenere nella guerra contro la Francia e la Spagna. Quella piemontese in ogni caso non fu la prima banconota nel continente europeo, che risale al 1661 grazie all'iniziativa della Wekeloch Lane Bank di Stoccolma (Svezia).
Figura 1. A destra la prima banconota nel continente europeo, emessa dalla Wekeloch Lane Bank di Stoccolma (1661). A sinistra una delle prime banconote emesse nella penisola italiana dalla Regie Finanze di Torino nel 1746.
Ma se si vuole risalire alla prima banconota nella storia arrivata ai nostri giorni dobbiamo addirittura tornare a quelle emesse dalla dinastia Ming (imperatore T'ai-tsu, periodo 1368-1398). I cinesi avevano iniziato a utilizzare una forma di cartamoneta già dalla dinastia Tang (618 - 907 d.C.), chiamata moneta volante per la praticità di trasporto; più che una banconota, però, era una sorta di assegno circolare. Del XIII secolo, invece, grazie ai dettagliati racconti di Marco Polo ne Il Milione conosciamo l'utilizzo della cartamoneta alla corte del Gran Khān Kublai (1260-1294) a Cambaluc, il nome usato dal viaggiatore veneziano per indicare Khān bālīq (letteralmente città del Khan), l'odierna Pechino; una storia intimamente legata a un'altra invenzione cinese, quella della carta. Di seguito alcuni brevi stralci, molto esplicativi:
Or sappiate ch’egli fa fare una cotal moneta com’io vi dirò. Egli fa prendere scorza d’un àlbore ch’à nome gelso – è l’àlbore le cui foglie mangiano li vermi che fanno la seta -, e cogliono la buccia sottile che è tra la buccia grossa e ’l legno dentro, e di quella buccia fa fare carte come di bambagia; e sono tutte nere. Quando queste carte sono fatte così, egli ne fa de le piccole, che vagliono una medaglia di tornesegli picculi, e l’altra vale uno tornesello, e l’altra vale un grosso d’argento da Vinegia, e l’altra un mezzo, e l’altra 2 grossi, e l’altra 5, e l’altra 10, e l’altra un bisante d’oro, e l’altra 2, e l’altra 3; e cosí va infino 10 bisanti. E tutte queste carte sono sugellate del sugello del Grande Sire, e ànne fatte fare tante che tutto ’l tesoro (del mondo) n’appagherebbe. E quando queste carte sono fatte, egli ne fa fare tutti li pagamenti e spendere per tutte le province e regni e terre ov’egli à segnoria; e nesuno gli osa refiutare, a pena della vita. [...] E quando ad alcuno si rompe e guastasi alcuna di queste carte e egli vae a la tavola del Grande Sire, incontanente gliele cambia e (ègli) data bella e nuova, ma sì gliene lascia 3 per 100.
Esistevano quindi banconote di vario taglio, dal valore comparabile con alcune monete circolanti nella penisola italiana (torneselli, grossi, bisanti), realizzate con la carta ottenuta dalla corteccia dei gelsi. Tutte le banconote riportavano il sigillo del Gran Khan, a garanzia del loro valore: potevano essere utilizzate per ogni tipologia di pagamento, in ogni provincia o regno del sovrano, e nessuno poteva rifiutarle, pena la morte. Addirittura era previsto un meccanismo di sostituzione delle banconote logore, presso la corte del Gran Khan, con una commissione del 3 per cento.
Come detto in precedenza, le banconote arrivate fino ai nostri giorni sono invece quelle della dinastia Ming: estremamente rare quelle da 200 e 300 cash; molto meno rare quelle da 1.000 cash (1 kuan), una delle quali posseduta dalla Banca d'Italia grazie all'acquisto nel dicembre 2001 da un collezionista privato (cfr. foto).
Figura 2. Banconota cinese da 1.000 cash della dinastia Ming (XIII secolo) posseduta dalla Banca d'Italia
Per quanto accertato, l'origine della maggior parte delle banconote Ming oggi conservate è molto particolare, riconducibile prevalentemente a tre diverse provenienze. Nel libro Commercio e Amministrazione dell'Impero Cinese pubblicato nel 1908, H.B. Morse narra la vicenda del ritrovamento di un tesoro durante la rivolta dei Boxer. Un gruppo di soldati europei infatti rovesciò nel parco del Palazzo d'Estate a Pechino un'immagine sacra del Buddha, che celava all'interno del piedistallo gioielli, lingotti d'oro e d'argento e un fascio di queste banconote. Accontentandosi del bottino, i soldati cedettero le banconote a un astante, il Maggiore Lewis Seaman - Chirurgo dell'US Army, che donò al Museo del Collegio di San Giovanni a Shanghai il campione poi riprodotto nel libro di Morse. Anche la banconota posseduta dalla Banca d'Italia ha questa origine e riporta nel retro della cornice che la contiene la dicitura "This piece was found inside a sacred Buddha idol by soldiers in Peking during the Boxer rebellion". La seconda scoperta di banconote è quella avvenuta nel 1936, quando un gruppo di operai abbattendo un muro a Pechino trovò una grande quantità di queste banconote murate nella parete stessa. Il racconto è narrato da un missionario a lungo residente in Cina, il Reverendo Ballou, che affermò di averne ricevuta una dal suo amico L. Carrington Goodrich, professore associato all'università Yenching di Pechino, che ne aveva acquistato due esemplari - per un paio di monete di rame, pari a pochi centesimi - dagli operai che le avevano ritrovate e, altrettanto prontamente, rivendute. La terza origine delle banconote è molto simile alla precedente, grazie al ritrovamento di una missionaria finlandese che, dopo aver portato le banconote in Europa, di fronte a necessità economiche decise a metà degli anni Novanta di venderle tramite un esperto numismatico anch'egli finlandese, facendo finire alcuni esemplari di ottima fattura nelle mani di collezionisti privati.