Difficile non subire il fascino delle conchiglie sin da bambini, quando sul bagnasciuga ci imbattiamo in forme e lucentezze così insolite e curiose. Un istinto che forse ci portiamo da molto lontano, se è vero che le conchiglie sono state per l'umanità molto più di un gioco o di un ornamento: sono state moneta. Esiste una conchiglia in particolare che è stata probabilmente la moneta più antica e diffusa a livello planetario, tanto da suggerire l'idea di una valuta a impiego "universale".
Le cosiddette conchiglie cauri sono state infatti usate con varie funzioni dalle Filippine all'estremo Oriente, alle zone più interne dell'Africa e della Papuasia, fino all'America pre-colombiana. Attraverso il Pacifico, si diffusero in profondità nel Nuovo Mondo dove, non a caso, sono stati rinvenuti all'interno dei mounds, i tumuli funerari delle antiche popolazioni pre-europee. Il loro nome si riscontra in moltissime lingue: kaudi in hindi, kaoli in cinese, kauri in bengalese, caurim in portoghese, kauṛī in urdu, kabttaj alle Maldive e cowrie in inglese. Fu il naturalista svedese Carlo Linneo, che nel XVII secolo classificò gli organismi viventi con criteri moderni, ad attribuire loro un nome scientifico nel 1758. Il nome, a questo punto, non ci stupirà: Monetaria moneta o Cypraea moneta. Ne esiste anche un altro tipo molto simile, che si distingue per la presenza di un anello arancio o giallo nella parte dorsale, la Monetaria annulus (o Cypraea annulus). I centri di produzione di questi cauri, o cypraee, erano principalmente le coste meridionali dell'India e quelle orientali dell'Africa, dunque nell'area dell'Oceano Indiano. In verità, nelle aree di raccolta erano considerate per lo più una merce da esportazione che, a mano a mano che ci si allontanava, acquistava una funzione di moneta con pregio sempre maggiore.
Ciò non deve stupirci: le caratteristiche fisiche e simboliche di queste conchiglie conferivano loro un grande valore. Innanzitutto, erano piccole e facilmente enumerabili, difficilmente falsificabili ma, soprattutto, erano belle e lucenti e venivano dal mare, luogo da cui si origina la vita. Probabilmente i primi a utilizzare i cauri con funzione di moneta furono antiche culture presenti sul territorio cinese già nel 5000-3000 a.C.! Ci sono stati ritrovamenti in numerose sepolture e, addirittura, in bocca ai defunti. Questa pratica ricorda "l'obolo per Caronte", l'uso di porre una moneta in bocca o sugli occhi del defunto per pagare al traghettatore degli inferi la traversata del fiume Acheronte; questo rito si è riscontrato in Occidente fino a tempi molto recenti, soprattutto in ambienti rurali e mediterranei. Tra alti e bassi, dovuti alle alterne difficoltà di approvvigionamento, i cauri furono utilizzati per millenni in Cina, addirittura fino ai primi del Novecento, anche parallelamente ad altri mezzi di pagamento come il sale, le monete metalliche e le banconote.
Così come in Cina, anche in India, in Africa, in Medio Oriente e nelle Americhe, i cauri sono stati conosciuti per millenni e utilizzati in vari contesti di scambio e commercio. Sorprende chiaramente il loro uso tra le civiltà pre-colombiane dell'America, dato l'isolamento geografico. Una delle ipotesi è che alcune tribù se le procurassero nei laghi e nei fiumi presenti sul territorio, un'altra è che ci fossero comunque antichissime rotte commerciali che già attraversavano il Pacifico. Il valore attribuito a queste conchiglie era tale che ancora nel Settecento la Hudson's Bay Company commerciava con la tribù dei Cree, in Canada, cedendo cauri in cambio di altri beni. Gli europei, dal canto loro, pur essendo tra i pochi a non aver conferito alla Cypraea un valore monetale così importante, dovettero necessariamente misurarsi con essa quando vennero a contatto con i popoli che la utilizzavano. Nel XIV secolo, ad esempio, la casa mercantile veneziana della famiglia di Marco Polo comprava cauri dall'Oriente per poi spedirli in Niger (Africa) e acquistare polvere d'oro. Lo stesso Marco Polo, durante il secolo precedente, aveva riscontrato che in Cina si potevano scambiare ottanta cauri per 5 grammi di argento. Anche il grande viaggiatore marocchino Ibn Battuta nel 1344 fu testimone della partenza di più di quaranta navi cariche di cauri dalle Maldive. Lo stesso Ibn Battuta compilò alcune relazioni sui tassi di cambio fra oro e cauri, riportando che ci volevano 1150 cauri per un dīnār arabo (4,25 grammi d'oro). Tuttavia, se questo tasso di cambio era rimasto invariato per secoli, esso aveva, a un certo punto, cominciato a salire vertiginosamente tanto che, due secoli più tardi, per un ducato veneziano (3,5 grammi d'oro) occorrevano solo 400 cauri.
L'interesse europeo per i cauri e l'impennata del loro valore non erano certamente slegati dall'inizio dell'era coloniale quando, purtroppo, le preziose conchiglie divennero funzionali alla vergognosa tratta degli schiavi. Nel 1600 uno schiavo sui mercati della Costa d'Oro poteva arrivare a costare 55 libbre di cauri, circa 21.500 conchiglie, una cifra pazzesca. Del resto, gli schiavi erano considerati merce pregiata. Si arrivò addirittura a tassi di cambio fissi tra i cauri e le valute dei Paesi dominatori. Questa situazione arrivò fino al XX secolo, quando le potenze coloniali smisero di accettare i cauri come forma di pagamento, creando ulteriore malcontento. A prescindere dall'uso più o meno nobile che se ne è fatto nel corso della Storia, l'epopea di questa valuta "universale" ci insegna a guardare la moneta come un fenomeno molto più complesso di quanto crediamo, oltre a scoprire quanto i popoli del nostro pianeta, nelle loro differenze, abbiano in comune.