Quando si visita un palazzo di pregio in Italia, e spesso anche all'estero, non è insolito imbattersi in meravigliosi lampadari di vetro di Murano. In verità si possono trovare anche nelle case private, qualora questi oggetti incontrino il gusto dei proprietari. Si tratta di un prestigio antico, acquisito nei secoli dalla città di Venezia e dalle sue vetrerie, che hanno prodotto non solo lampadari ma manufatti di tipologie, dimensioni e colori estremamente variegati. Non tutti, però, conoscono l'avventurosa storia delle perline veneziane e il loro successo come strumento di pagamento.
Oggi forse osserviamo le perline con la condiscendenza che si prova verso un tipo di gioiellino infantile o a basso costo. Eppure esse hanno accompagnato l'umanità fin da tempi molto lontani, come primi ornamenti durevoli, spesso ritrovati all'interno di tombe antichissime. Sin dal paleolitico superiore (fra i 40.000 e i 10.000 anni fa) troviamo perline realizzate con denti e ossa di animali, prima dai Neanderthal e poi da Homo sapiens. Questi oggetti avevano importanti significati simbolici riferiti alla caccia, volti a propiziare la ricerca dei necessari mezzi di sostentamento. Più recentemente Egizi e Sumeri, così come le popolazioni vissute nell'odierno Afghanistan tra il 2200 e il 1600 a.C., utilizzavano grani di lapislazzuli, turchese, cornalina, agata e oro. Più erano piccoli e più erano preziosi, in quanto aumentava la difficoltà della lavorazione e la maestria richiesta. Le perline erano colorate e appariscenti, resistenti, combinabili in mille modi, applicabili sugli abiti e realizzate con i materiali più diversi. Tutte le popolazioni più avanzate come Fenici, Etruschi, Persiani, Greci e Romani ne produssero e, con il tempo, si raffinarono nella lavorazione del vetro, che spesso imitava la pietra.
Plinio il Vecchio (25-79 d.C.) attribuisce la fortuita invenzione del vetro ad alcuni marinai fenici che avrebbero accidentalmente fuso della silice, il minerale costitutivo del vetro, accendendo un fuoco sulla sabbia nei pressi di Tiro. In verità l'origine del vetro è precedente e non sarebbe possibile né sufficiente fondere della sabbia, in quanto sono necessari anche soda e calcio per permetterne la fusione e la stabilizzazione. Nel corso di questo processo, è possibile miscelare altri minerali e materiali per ottenere le colorazioni più diverse. Una delle zone più ricche di silice è sempre stata la Siria e proprio da lì, per secoli, sono state prodotte perline di altissima qualità. Già nell'Alto Medioevo, tuttavia, un altro produttore stava emergendo sul panorama mediterraneo, la Repubblica di Venezia che, nel X secolo, ospitava i primi laboratori del vetro. I traffici con ciò che restava dell'Impero romano nelle regioni orientali, così come con il mondo arabo e l'Asia, permisero poi a Venezia di sviluppare questo settore fino a raggiungere, nel Duecento, un alto grado qualitativo e creare una "Scuola" dei vetrai ovvero una tipica associazione di mestiere. La Quarta Crociata, con il saccheggio della capitale imperiale Costantinopoli (1204), portò molti vetrai romano-orientali a trasferirsi nella laguna con le loro raffinatissime tecniche. Fu nel 1295 che Marco Polo tornò dai suoi viaggi, invitando i suoi concittadini a sfruttare i mercati d'Oriente per le perle veneziane. Pochi anni dopo, nel 1298, fu istituita la mariegola dei paternosteri: mariegola sta per mater regulae, che normava l'attività dei fabbricanti di perle. Queste ultime erano dette paternosteri in quanto usate anche come grani del rosario.
La caduta di Damasco per mano di Tamerlano (1401) lasciò Venezia padrona incontrastata della produzione di perle di vetro colorate. A Murano si concentrarono i centri di produzione, in quanto il cattivo odore dei laboratori risultava malsano per i quartieri residenziali veneziani. Il vetro divenne così fondamentale che nel 1490 la corporazione dei vetrai fu posta sotto la giurisdizione del Consiglio dei Dieci, massimo organo di governo della Repubblica. Ai vetrai fu severamente proibito divulgare i segreti e le tecniche di lavorazione del vetro. Ma la vera rivoluzione arrivò con le grandi esplorazioni del Quattrocento. Gli europei impararono a solcare gli oceani e, scoprendo nuove terre e nuovi popoli, si rivolsero a questi per i loro scambi. Nel Nuovo Mondo le tribù, che non conoscevano il vetro, cominciarono ad accettare le perle in cambio di zucchero, tabacco, argento e oro. Non dobbiamo pensare che fossero degli ingenui: il grande valore che gli europei attribuivano a oro e argento era relativo alla propria cultura. Il vetro per gli indigeni americani risultava ben più raro, prezioso e bello, tant'è che lo utilizzavano per ornare i propri abiti, spesso sostituendo decori più tradizionali come gli aculei di porcospino.
Il commercio delle perle crebbe esponenzialmente e i centri di produzione più importanti come Venezia, la Boemia e l'Olanda fecero a gara per produrre perle sempre più colorate e fantasiose e soddisfare il gusto di tribù e villaggi diversi. Più dell'America, tuttavia, dal Cinquecento in poi fu l'Africa a rappresentare il mercato più fiorente, in quanto da lì arrivava, purtroppo, la merce più pregiata: gli schiavi. Gli europei mandavano nel continente africano rhum, tessuti, fucili, conchiglie cauri e perle in cambio di esseri umani. Le perle veneziane in particolare furono apprezzatissime per la loro fattura e i loro colori e cominciarono a circolare internamente, assumendo un ruolo monetale. Già dal Cinquecento vennero anche chiamate conterie, termine che evoca una delle principali funzioni della moneta: l'unità di conto. Il loro successo fu tale che, nonostante la fattura veneziana, vennero chiamate "perle d'Africa". Ancora nell'Ottocento gli esploratori europei si imbatterono in tribù che da tempo avevano inserito nel proprio abbigliamento tradizionale le perline; persino oggi gli abiti tradizionali delle tribù Maasai e Samburu del Kenya sono contraddistinti da perle colorate.
Anche dopo la sua decadenza politica e militare, Venezia poté contare per quasi tutto il Settecento sul commercio delle conterie, fino alla dissoluzione della Repubblica per mano di Napoleone nel 1797, dissoluzione che colpì le vetrerie altrettanto duramente. Tuttavia le perline, nelle loro innumerevoli forme di perle a lume, perle millefiori o perle rosetta, prodotte in quantità enormi nei decenni e nei secoli precedenti, circolavano ormai in tutti i continenti come ornamento o mezzo di scambio. I veneziani non avevano nemmeno un'idea molto chiara dell'uso che se ne faceva, in quanto la loro diffusione era ormai gestita dalle compagnie coloniali. Le vetrerie di Murano si ripresero sotto il governo asburgico e, successivamente, negli anni venti del Novecento, quando in America si diffuse il ballo del Charleston, accompagnato da abiti ricoperti di perline dette, appunto, charleston.
Negli anni più recenti del XX secolo l'interesse per le vecchie "perle d'Africa" divenne per lo più collezionistico. Eppure, ancora ai giorni nostri, in paesi come il Ghana, alcune tribù conservano fili di perle millefiori come patrimonio di famiglia: seppure le perle abbiano smesso di essere un mezzo di scambio, permane una delle tre funzioni della moneta ovvero l'uso delle perline come riserva di valore (forzando un po' la mano, è come se noi conservassimo nel nostro patrimonio di famiglia degli aurei romani, oggi fuori corso ma comunque di grande valore sul mercato numismatico). In ogni caso, non è detto che i proprietari ghanesi conoscano l'origine veneziana delle perline, anzi, in Africa si dice che provengano dalla fine dell'arcobaleno.